Perché il lupo fa ancora paura?

 

A cura di Aldo Martina


“FA-UNA COSA GIUSTA: DIVULGA!” Gruppo pubblico di divulgazione scientifica



Lupo appenninico - Canis lupus italicus 
CC BY-SA 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1039134


 Lupus in fabula

Così raccontava Guy de Maupassant, scrittore francese del XIX secolo, nel suo Le Loup (1884):

 Ora, verso la metà dell'inverno del 1764, il freddo fu talmente eccezionale che i lupi divennero feroci. Attaccavano i contadini isolati, la notte giravano attorno ai casolari, urlavano dal tramonto all'alba e massacravano tutte le bestie nelle stalle. Ben presto si sparse la voce d'un lupo colossale, dal pelame grigio chiaro, quasi bianco, che aveva divorato due piccini, azzannato il braccio di una donna, sgozzato tutti i cani da guardia del villaggio, e che s'infilava senza paura sotto i recinti per venire a fiutare presso le porte. Tutti i contadini dicevano d'aver sentito il suo soffio potente che faceva tremolare la luce delle candele. L'intera provincia ne era terrorizzata. Appena faceva notte, nessuno aveva più coraggio d'uscire di casa. Le tenebre sembravano essere la magica dimora dell'animale [...]”

Il lupo grigio (Canis lupus) è il mammifero terrestre a più ampia distribuzione mondiale, e pur avendo subito una forte contrazione geografica negli ultimi due secoli, dovuta più o meno direttamente all'uomo, continua ad occupare quasi tutto l'emisfero settentrionale, interessando il territorio di una settantina di nazioni.

L'areale complessivo delle circa venti sottospecie (tra cui quella italiana Canis lupus italicus) si estende longitudinalmente dall'Alaska alla Siberia, e latitudinalmente dalla penisola Araba fino alla Groenlandia. La maggior parte della popolazione è concentrata in Alaska-Canada e, per il nostro continente, in Russia, Kazakistan, Mongolia e Cina; la distribuzione nell'Europa centro-occidentale è invece estremamente frammentata. Avendo un'estensione così rilevante, il lupo non poteva non raccogliere una commisurata considerazione da parte dell'uomo, nel bene e nel male, con tutte le gradazioni che dalla realtà sfumano nella fantasia. Il lupo lo troviamo protagonista nella nostra cultura più di ogni altra specie selvatica: compare in tutte le forme dell'arte, è citato nelle religioni e nella mitologia, viene studiato dalla zoologia, attira l'attenzione perfino della medicina e della psicanalisi, tant'è che al suo nome si riferiscono patologie (lupus eritematoso), istinti (allupato), nevrosi (l'uomo dei lupi di Freud) e psicopatologie (lupo mannaro). Anche nel modo comune di parlare facciamo a lui continui e disinvolti riferimenti: “fame da lupo”, “in bocca al lupo”, “tempo da lupi”, “il lupo perde il pelo ma non il vizio”, “lupo non mangia lupo”, “lupara” (doppietta a canne mozze) e così via. Il nostro rapporto con questo canide è però ambivalente, insieme all’odio e alla paura esiste infatti una sorta di riconoscimento e di rispetto per alcune sue doti: la vista, il coraggio e, naturalmente, l'abilità nella caccia; non a caso era animale totemico per i popoli cacciatori dell’Asia centrale e dei nativi americani, i cui sciamani eseguivano riti propiziatori mascherandosi da lupi, con l’intento di trasferire ai cacciatori le loro qualità. Di segno universalmente positivo è invece il rapporto che abbiamo con il suo diretto discendente domestico, e che infatti amiamo definire il nostro “migliore amico”.

Attualmente il lupo non si è stancato di far notizia: laddove era scomparso sta tornando, e nel riappropriarsi degli antichi spazi, fra le aree più marginali e frammentate del suo areale odierno, ha purtroppo riacceso un'antica zoofobia mai sopita, con l'aggiunta di nuove forme di diffidenza, che vedremo meglio trattate nel capitolo Il lupo, una ne pensa e cento ne fa. Qualcuno si chiede perché il lupo fa ancora paura. Questa è la risposta che più mi piace dare e che ritengo sia in definitiva la più densa di significato: perché il lupo è “dentro di noi”.

Trascuriamo le motivazioni per le quali questa specie è stata un riferimento positivo per le popolazioni che praticavano la caccia come forma di sostentamento, e concentriamoci invece sulle motivazioni per le quali certe superstizioni, nate nel nostro passato recente, si sono più o meno mantenute anche nel presente, concorrendo a configurare il lupo come l'animale nocivo per eccellenza. Per migliaia di anni lupo e uomo si sono sopportati condividendo stesse prede e medesimi spazi. Tale coesistenza, se non proprio pacifica almeno neutrale, è poi venuta meno probabilmente quando Homo sapiens cominciò la domesticazione degli animali erbivori; essendo sempre stato uno scaltro profittatore, come del resto lo sono tutti i canidi del mondo, il lupo colse la nuova e più facile opportunità ed entrò quindi in conflitto diretto con gli interessi dei nostri antenati. Da quel giorno è cominciato il suo stillicidio, inizialmente con la persecuzione diretta attraverso l'uso di ogni strumento o forma di caccia (lacci, fosse, tagliole, archi, balestre, fucili, fuoco e veleni), poi anche indirettamente con la sottrazione degli spazi attraverso la trasformazione di gran parte dei suoi habitat naturali. Ma ha resistito, quasi ovunque. Per esempio in Italia si sta prendendo, per così dire, la rivincita grazie alle doti insite nella sua biologia ed ecologia, alla resilienza, nonché ad una serie di concomitanti circostanze risultate favorevoli, in particolare le normative che lo tutelano, l'aumento e l'espansione delle sue prede selvatiche (soprattutto ungulati) e l'abbandono degli ambienti montani-rurali da parte della popolazione umana. Al di là di questa immensa capacità (quasi “demoniaca”, in effetti) di riprendersi velocemente, nonostante la persecuzione secolare e diffusa, cosa ha fatto scatenare nei suoi confronti un odio ed un timore così viscerale e duraturo?

Si può certo spiegare il motivo d'astio con il suo comportamento predatorio verso il bestiame domestico, ma l'associazione con il “male”, addirittura con il demonio, quando e perché nasce?

Per rispondere a queste domande sostanziali bisogna riferirsi ad un periodo storico piuttosto lungo, che dal XIV secolo va fino al XIX secolo, arrivando a lambire anche il XX secolo. In questi 500 anni l'Europa fu interessata da un'alternanza di epidemie, carestie e guerre, e gli europei di allora si ritrovarono uniti loro malgrado sotto le insegne della miseria e della malasorte più di quanto possano esserlo oggi, sotto quelle del benessere. La malnutrizione e le condizioni igieniche avevano portato ad una elevatissima mortalità soprattutto infantile (in Italia quasi il 50% dei bambini moriva entro i cinque anni) e l'aspettativa di vita di un adulto non andava molto oltre i trent'anni. Solo la peste nera in sette anni (1346-1353) uccise un terzo della popolazione, circa 20 milioni di vittime; un numero analogo sembra sia stato provocato anche dalle diverse ondate di colera, tifo, vaiolo e tubercolosi che hanno imperversato nel nostro continente in quei secoli. Tuttavia fu l'influenza cosiddetta “spagnola” (1918-1920) ad essersi qualificata come la peggior pandemia mai affrontata dalla nostra specie, tant'è che si stima una mortalità conseguente a livello mondiale (quindi non relegata alla sola Eurasia come nel caso della peste nera) del 3-5%, cioè tra i 50 e i 100 milioni di vittime. Agli albori del XX secolo la sorte del lupo era però già stata fortemente compromessa in buona parte del suo areale, quindi è nel Medioevo, in quel panorama già disgraziato segnato da fame e dolore, che il lupo si gioca la sua sopravvivenza. Se da un lato, com'è sempre stato nella sua natura, ha saputo approfittare anche della enorme disponibilità di cadaveri da depredare, dall'altro proprio questo tipo di approccio lo ha definitivamente segnato come entità demoniaca. Tra il Trecento e il Cinquecento si diffonde la figura professionale del “luparo”, introdotta già ai tempi di Carlo Magno, che diviene ben presto il principale artefice dello sterminio sistematico del lupo. Tra le lande europee del XVII-XVIII secolo, secondo gli archivi ufficiali sia civili che ecclesiastici, si verificano tra l'altro vari casi di antropofagia: mentre la popolazione umana è soggetta a varie forme di patimento (sono noti anche casi di cannibalismo nella Francia del 1300) e la miseria porta ad abbandonare i bambini o a impiegarli in vari lavori, spesso isolati, alcuni lupi imparano a predare la nostra specie con ovvi effetti terrorizzanti. Tuttora, in alcune regioni dell'India centro-settentrionale (Andhra Pradesh, Jharkhand) il lupo indiano Canis lupus pallipes è responsabile della predazione su bambini, ma il contesto ambientale e sociale di quelle aree è conforme in Europa più al Medioevo che al XXI secolo.

In quei secoli anche le descrizioni fisiche a suo carico vengono estremizzate, e il risultato che ne deriva non è più il lupo in se, ma qualcosa di più terrifico e mostruoso: ecco diffondersi, a partire dalla Francia, la credenza sui “lupi mannari”: degli esseri feroci e particolarmente sanguinari, per metà lupi e per l'altra uomini. Prendendo spunto dalla ormai generale avversione alla fine del Seicento, sempre in Francia, esce la versione originaria di Cappuccetto rosso ad opera di Charles Perrault, mentre quella meno drammatica (ma non dal punto di vista del lupo), uscirà invece in Germania a metà dell'Ottocento, a cura dei Fratelli Grimm; risalirebbe invece ad una tradizione orale inglese, forse del 1600-1700, anche la fiaba I tre porcellini, trascritta anch'essa a metà dell'Ottocento. Quindi anche la letteratura fa la sua parte nel favorire la trasformazione del lupo in capro espiatorio di tutte le sofferenze umane dell'epoca (a pensarci bene accade spesso di ritorcere la nostra frustrazione, individuale o sociale, su chi si trova in una posizione di svantaggio...), e così il lupo, vero o finto che sia, diventa oggetto di persecuzione non più solamente perché lede gli interessi immediati dell'uomo (il bestiame, il danno economico e quello affettivo), ma perché ne pregiudica addirittura la salvezza in termini spirituali. Perciò nel corso del tempo assistiamo ad una progressiva trasformazione peggiorativa del lupo, che da semplice predatore diventa competitore, poi razziatore, antropofago, licantropo e, infine, figura simbolica del diavolo.

Sono passati ormai centinaia di anni da quell'Europa flagellata, la popolazione umana nel frattempo è esplosa demograficamente, le sorti di patimento sono state sempre più relegate ai paesi del terzo mondo e il lupo in Europa centro-occidentale è arrivato quasi ad estinguersi. Adesso la sua situazione è certo migliorata rispetto alla metà del Novecento, quando nel nostro paese raggiunse il momento più critico. Da due secoli non si registrano (in tutta Europa) casi di predazione sull'uomo, e malgrado tutto ciò la figura desueta del lupo, quello antropofago, sanguinario, sbranatore per cattiveria, è rimasta latente. Soprattutto, mi verrebbe da dire, in coloro che non hanno saputo trovare come convivere con il “proprio” lupo. 


Tratto da:   "Non c'era una volta..." Il mondo animale tra fantasia e realtà: miti, leggende, luoghi comuni e fake news.  di Aldo Martina, Copright © 2020 Edizioni del Faro (ISBN 978-88-5512-136-1) pag. 288.  



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